Rilevò Romano Guardini che “nelle cattedrali [del Medioevo] noi sperimentiamo con penosa vergogna l’immensa superiorità di quest’epoca che solo la presunzione illuministica ha potuto chiamare oscura” nel cui contesto si determina la costruzione della Ecclesia Mater brindisina completata entro il 1143. Oggi, come scrisse Ennio Flaiano, “le città sconosciute appaiono al viaggiatore come quartieri della sua stessa città mai visitati e di cui vale soltanto controllare le risorse di ospitalità e le offerte di piacere, non essendoci quasi mai tempo per vederle come mondi nuovi, per accostarvisi con una carica di meraviglia e di amore. Gli aeroporti sostituiscono le cattedrali, gli alberghi le abbazie, e lo shopping la conoscenza”.
Fu lungimirante la decisione di erigere il sacro edificio, il suo perimetro fu consacrato dal pontefice Urbano II (1088-99) il 1089, in prossimità delle cale portuali, a indicare, esplicitamente, a un tempo, la funzione della città e la direzione che doveva avere lo sviluppo urbano. Non casualmente, per essere poi. L’intrapresa sottolineava la ricostruzione della città, voluta dai normanni nel contesto della loro politica d’espansione verso oriente; Brindisi, di fatto, riacquistò in breve il ruolo, già suo proprio nell’età antica, di caposcalo nelle rotte verso levante, passaggio obbligato per quanti da Roma volevano dirigersi verso Gerusalemme. Non casualmente, come ricorda Ludovico Antonio Muratori, Ruggiero, figlio di Tancredi, fu qui, nella grande cattedrale, incoronato re di Sicilia nel 1191, primo fra i normanni ad esserlo fuori Palermo, e nell’anno successivo si unì in matrimonio con l’appena undicenne Irene (1181-1208), figlia di Isacco l’Angelo imperatore di Costantinopoli (1185-1195 e 1203-1204): “Intanto Tancredi re di Sicilia avea conchiuso un trattato di matrimonio fra Irene figliuola di Isacco Angelo imperador de’Greci, e Ruggieri suo primogenito, già dichiarato duca di Puglia. E perché questa principessa era in viaggio alla volta d‘Italia, egli passò di qua dal Faro, per esser pronto a riceverla. Dopo aver dunque ridotti al loro dovere alcuni popoli dell’Abruzzo che teneano col conte Rinaldo suo ribelle, si portò a Brindisi, dove accolse la regal sua nuora, le cui nozze furono con singolar magnificenza celebrate. Quivi ancora diede il titolo di re allo stesso figliuolo, e fece coronarlo: dopo di che con gloria e trionfo se ne tornò in Sicilia”.
Altrettanto sfarzose possono immaginarsi le nozze qui celebrate il 9 novembre 1225 tra la quattordicenne Isabella di Brienne, regina di Gerusalemme, e il signore dell’occidente, l’imperatore Federico II; accurati furono i preparativi per le nozze, che prevedevano un cerimoniale solenne. Scrive Fulvio Delle Donne: “Nell’agosto 1225 il conte Enrico di Malta, a capo di una flotta di galee imperiali – che le fonti cronachistiche attestano in numero di quattordici o di venti – partita da Brindisi, venne inviato in Siria con l’incarico di accompagnare e scortare in Italia la regina, che ormai aveva raggiunto l’età consentita per il matrimonio. Dell’ambasceria imperiale faceva parte anche Giacomo, vescovo di Patti (futuro arcivescovo di Capua), che aveva la funzione di procuratore di Federico II. Quando la flotta giunse ad Acri I. fu portata nella chiesa di S. Croce, dove la attendeva il vescovo Giacomo, che la sposò in nome dell’imperatore svevo, ponendole l’anello nuziale al dito. L’Estoire d’Eracles (p. 357) racconta che la gente si meravigliò molto del fatto che un uomo sposasse una donna tanto lontana: ma così comandava il papa. Subito dopo il matrimonio I. partì per Tiro dove, considerata ormai adulta, alla presenza di tutta la più alta nobiltà d’”Outremer” venne incoronata regina di Gerusalemme con una cerimonia solenne, celebrata da Rodolfo di Mérencourt, patriarca di Gerusalemme. Dopo i festeggiamenti, che durarono quindici giorni, la giovane regina, affidata alle cure di un frate dell’Ordine teutonico, si imbarcò a Tiro per recarsi in Puglia, accompagnata da un seguito di cui facevano parte anche Simone di Maugastel, arcivescovo di Tiro, e Baliano, signore di Sidone e cugino di Isabella. Durante il viaggio si fermò qualche giorno a Cipro per visitare la regina Alice, sua zia, che, con le sue dame, fu presa da profonda commozione quando – come ci raccontano le Gestes des Chiprois (p. 668) – sentì sussurrare dalla nipote tristi parole d’addio alla sua terra, che non avrebbe più rivisto. Il convoglio imperiale finalmente giunse a Brindisi, dove ad accogliere I. vennero lo sposo Federico e il padre Giovanni. Dopo l’arrivo, che fu festeggiato con grande pompa, il 9 nov. 1225 si procedette a una seconda e più solenne cerimonia nuziale, che venne celebrata nella cattedrale di Brindisi e che ebbe bisogno di una specifica dispensa papale poiché gli sposi erano cugini di terzo grado.
Nella cattedrale, prossima alle banchine del porto, si riunivano in preghiera, pellegrini e milites prima di salpare verso Terra Santa: Brindisi è campo di raduno già dei partecipanti alla I crociata. I segni della secolare presenza della basilica cattedrale nella via dei pellegrini, da Roma a Gerusalemme, sono nelle reliquie che allora arricchiscono il suo tesoro: il braccio di San Giorgio, l’idria delle nozze di Cana, le reliquie di san Teodoro d’Amasea rendono alla sede metropolitica brindisina prestigio e alla città flusso ininterrotto di pellegrini. Teodoro era ed è grandemente venerato nel Mediterraneo orientale; protettore dell’esercito bizantino, dedicatario di numerose città, per secoli, dal IV sino alla traslazione delle sue reliquie a Brindisi nel XIII, aveva avuto in Eucaita, nell’attuale Turchia, il fulcro del suo culto.
La cattedrale, ricostruita dopo il terremoto del 20 febbraio 1743 impostando la facciata secondo lo schema del Gesù romano, sarebbe stata più volte restaurata.
Scrisse Gustave Flaubert che “l’anima si misura dalla dimensione dei suoi desideri, come si giudicano a prima vista le cattedrali dall’altezza dei loro campanili”; fu forse una considerazione simile a determinare la costruzione del campanile, voluto dall’arcivescovo Giovan Battista Rivellini (1778-95) e progettato dagli architetti Giuseppe e Carlo Fasano di Ostuni; danneggiato dai bombardamenti aerei alleati su Brindisi durante la seconda guerra mondiale, fu ricostruito attenendosi all’antico modello.
Della chiesa romanica, non un semplice spazio architettonico, ma “un’essenza spaziale che pulsa e respira”.permane la planimetria basilicale,raffrontabile a quella del San Nicola in Bari, a tre navate senza transetto. La posizione attuale della facciata è la stessa di quella romanica, tripartita in corrispondenza, rispettivamente, la centrale alla navata di mezzo e le altre due alle lateraliSolo frammenti sono visibili, nella navata laterale sinistra e intorno all’altar maggiore del pavimento musivo, datato 1178, voluto dall’arcivescovo francese Guglielmo (1173-81). La sua composizione è originale sia per lo stile che per l’inserimento di nuove immagini, come la figura di Ascanio e per il rilievo dato a episodi della Chanson de Roland: Orlando, combattente per la fede a Roncisvalle, costituiva un modello ideale per quanti erano impegnati nella difesa dei luoghi santi. Il magnifico coro dei canonici, in legno di noce, realizzato nel 1594 dall’arcivescovo Andrea de Ajardes (1591-5) può ritenersi opera di intagliatori locali, forse gli stessi che hanno eseguito il coro della chiesa cattedrale di Nardò. Le formelle con le immagini dei santi Giorgio e Teodoro rendono, sullo sfondo, l’una la città, l’altra il porto di Brindisi nel ‘500. Il presbiterio è definito da una balaustra marmorea realizzazione fu affidata al napoletano Aniello Gentile che iniziò il lavoro il 1748. Ancora al Gentile va ricondotto il rifacimento degli altari nelle cappelle del Santissimo Sacramento, di Sant’ Antonio da Padova e di San Teodoro d’Amasea; qui è la tela con rappresentazione di San Teodoro a cavallo eseguita il 1840 dal napoletano Filippo Palizzi (1818-99).
L’abside di destra, l’unica di cui sussista la struttura esterna, ha cornicione sostenuto da teste di elefanti scolpite in pietra dura; alla base è tuttavia leggibile la firma dell’architetto Petrus costruttore della cattedrale romanica. Benedetto XVI, con efficacia, riassunse la spinta verso il bello che animò Petrus e gli altri maestri che diressero le grandi fabbriche medievali: “La bellezza delle grandi cattedrali, l’armonia della musica scaturita al calore della fede, la solennità della liturgia ecclesiale, la stessa realtà della festa che non si può fare, ma soltanto accettare, l’organizzazione dell’anno liturgico, nel quale si fondono insieme l’ieri e l’oggi, il tempo e l’eternità – tutte queste cose non sono, a mio avviso, casi fortuiti e insignificanti. Il bello è lo splendore del vero, ha detto Tommaso d’Aquino, e potremmo aggiungere che l’offesa del bello è l’autoironia del vero perduto. Le espressioni, nelle quali la fede ha saputo tradursi lungo i secoli della sua storia, sono testimonianza e conferma della sua verità”.